Malattia di Parkinson
La Malattia di Parkinson è una sindrome neurologica extrapiramidale neurodegenerativa, caratterizzata da molteplici sintomi motori e non motori, non sempre tutti presenti in un medesimo soggetto. Prende il nome da James Parkinson, un medico farmacista e chirurgo che per primo la descrisse nel 1827 in un libretto, “An essay on the shaking pulsy” (Un saggio sulla paralisi agitante).
E’ presente in tutto il mondo, in tutti i gruppi etnici e in entrambi i sessi. L’età media di insorgenza è intorno ai 58-60 anni, ma circa il 5 % dei pazienti può presentare un esordio giovanile tra i 21 ed i 40 anni. Sopra i 60 anni colpisce 1-2% della popolazione; la percentuale sale al 3-5% dopo gli 85 anni.
Sintomatologia
La sintomatologia è alquanto complessa. I sintomi più immediatamente percepibili sono quelli motori
- Tremore a riposo. Si manifesta, almeno in un primo tempo, unilateramente, alle mani, ai piedi, alla mandibola. Scompare quando il paziente esegue movimenti volontari.
- Bradicinesia, cioè lentezza dei movimenti. Comporta difficoltà nel pianificare, iniziare ed eseguire movimenti nella corretta sequenza e causa un ritardo (latenza) a dare inizio al movimento stesso (acinesia). Include anche la perdita dei movimenti spontanei (gesti espressivi), espressioni facciali, la disartria (disturbo motorio del linguaggio), ridotta oscillazione delle braccia durante la deambulazione. Alla bradicinesia si collegano anche la modificazione della scrittura, che diventa sempre più piccola (micrografia) e la scialorrea (aumento della saliva nella bocca a causa del rallentamento dei muscoli necessari alla deglutizione).
- Rigidità, imputabile ad una diffusa tensione muscolare e caratterizzata da una resistenza al movimento passivo degli arti ( ma anche del collo e delle spalle) solitamente accompagnata al fenomeno della ruota dentata: un temporaneo cedimento seguito da un nuovo irrigidimento.
- Alterazioni della postura: posizione flessa del collo, del tronco, dei gomiti e delle ginocchia.
- Instabilità posturale dovuta alla perdita dei riflessi di raddrizzamento.
- Freezing (congelamento). E’ il blocco improvviso del movimento, che spesso interessa le gambe durante la deambulazione, ma può anche interessare le braccia.
- Festinazione, aumento progressivo della velocità del passo e contemporanea diminuzione della sua ampiezza
Nella Malattia di Parkinson sono presenti anche sintomi non motori, alcuni dei quali possono precedere di anni quelli motori:
• disturbi del sistema nervoso autonomo, come ipotensione ortostatica costipazione, disturbi sensoriali, sudorazione anomala , disfunzione erettile, incontinenza urinaria e fecale.
• disturbi del sonno
• difficoltà nella sfera cognitiva[i]
• anosmia
Correlati neurologici della sindrome
La Malattia di Parkinson è riconducibile alla degenerazione dei neuroni dopaminergici nella substantia nigra. Questa è un’area dell’encefalo che si trova anatomicamente tra il mesencefalo e il diencefalo ma che funzionalmente fa parte dei nuclei della base. La degenerazione di questi neuroni sembra essere dovuta al fatto che al loro interno si formano degli aggregati insolubili della proteina alfa-sinucleina, detti corpi di Lewy, determinandone la morte [ii]
In realtà, volendo andare più a fondo, il discorso è molto più complesso. I sintomi più tipici ed evidenti della malattia esplodono quando i corpi di Lewy raggiungono la substantia nigra ma, in verità, il processo neurodegenerativo ha inizio molti anni prima. Purtroppo solitamente passa inosservato, perché si tratta di una fase pressoché silente dal punto di vista sintomatico. In questa prima fase, i corpi di Lewy invadono il midollo allungato, il tegmento pontino, il bulbo olfattivo. Quindi si propagano nella substantia nigra e in altri nuclei del mesencefalo e del prosencefalo. Infine è la volta della neocorteccia. E’ questo il motivo per il quale alcuni sintomi, come ad esempio la perdita dell’olfatto, si manifestano molto prima dell’insorgenza dei sintomi motori. E peraltro non è soltanto il sistema dopaminergico che viene danneggiato, ma vengono colpiti anche i neuroni glutamatergici, colinergici, noradrenergici e adrenergici.
Diagnosi
La diagnosi del Parkinson è comunque un processo complesso, perché i sintomi sono in effetti condivisi da una molteplicità di altri disturbi, i parkinsonismi. Il primo passo è l’ipotesi diagnostica del neurologo formulata attraverso storia clinica e la valutazione dei sintomi. In passato tale ipotesi era non di rado contraddetta post mortem dall’esame autoptico, al quale spettava l’ultima parola: presenza o assenza dei corpi di Lewy.
Oggi si dispone di analisi strumentali più affidabili, prima fra tutti la scintigrafia[iii]. Si procede alla somministrazione, per via endovenosa, di isotopi radioattivi che vengono captati dall’organo che si intende analizzare . Nel Parkinson il radiofarmaco usato (DaT-scan) si lega alle terminazioni neuronali dopaminergiche e ne rileva l’eventuale perdita. Si tratta di un esame complesso per il quale non tutti i laboratori sono attrezzati. Più agevole è il ricorso alla risonanza magnetica, attraverso la quale si individuano i cambiamenti della quantità di neuromelanina, che viene via via diminuendo al progredire della patologia.
Cause del Parkinson
Non è ben chiaro quali siano le cause dell’insorgenza della Malattia di Parkinson. Vi è molto probabilmente una componente genetica[iv], ma ad essa si aggiungono fattori ambientali.
Pesticidi, erbicidi, insetticidi (assunti con l’acqua, con cibi contaminati, per contatto cutaneo o per inalazione diretta) sembrano contribuire all’insorgere del morbo. Anche l’esposizione cronica a metalli come manganese, rame, ferro, alluminio e piombo aumenta il rischio di sviluppare la malattia. La carenza di vitamina d è un altro fattore di rischio e incide in particolare sull’incurvarsi della schiena. Il fumo di sigaretta e il caffè hanno invece un ruolo protettivo.
Terapie
Non esiste attualmente alcuna cura per il Parkinson. Sono possibili solo interventi farmacologici finalizzati ad attenuarne i sintomi (soprattutto quelli motori), che agiscono in modi differenti sul sistema dopaminergico: la levodopa, gli agonisti dei recettori della dopamina e gli inibitori delle monoammine ossidasi (IMAO).
La somministrazione diretta di dopamina non ha alcuna efficacia, perché la molecola non è in grado di attraversare la barriera ematoencefalica per penetrare nel cervello. Si ricorre pertanto alla levodopa (che è in grado di oltrepassare la barriera) che viene trasformata in dopamina nei neuroni dopaminergici. La levodopa per alcuni anni riesce a controllare i sintomi più gravi, ma con col tempo (4-5 anni) la sua efficacia diminuisce. Si cerca pertanto di ritardarne per quanto possibile la somministrazione, ricorrendo in un primo tempo agli agonisti dei neuroni dopaminergici e agli inibitori delle monoammineossidasi.
[i]Aarsland, Dag, Laura Marsh, and Anette Schrag. “Neuropsychiatric symptoms in Parkinson’s disease.” Movement disorders: official journal of the Movement Disorder Society 24.15 (2009): 2175-2186.
[ii] Sveinbjornsdottir, Sigurlaug. “The clinical symptoms of Parkinson’s disease.” Journal of neurochemistry 139 (2016): 318-324.
[iii] de la Fuente-Fernández, Raúl. “Role of DaTSCAN and clinical diagnosis in Parkinson disease.” Neurology 78.10 (2012): 696-701.
[iv]Puschmann, Andreas. “New genes causing hereditary Parkinson’s disease or parkinsonism.” Current neurology and neuroscience reports 17.9 (2017): 66.
[v]Lin MM, Laureno R. Less Pulsatile Levodopa Therapy (6 Doses Daily) Is Associated with a Reduced Incidence of Dyskinesia. J Mov Disord. 2019 Jan;12(1):37-42. doi: 10.14802/jmd.18046.