L’artrosi
L’artrosi o osteoartrosi (OA) è una malattia articolare cronica caratterizzata da lesioni degenerative e produttive a carico della cartilagine delle articolazioni diartrodiali. Le diartrosi sono articolazioni caratterizzate da una struttura finalizzata al movimento. Sono dotate di cartilagine e capsula articolare, quindi di membrana e liquido sinoviale. Tutte queste strutture, insieme all’osso subcondrale (immediatamente al di sotto della cartilagine), possono essere coinvolte nella OA [1].
La prevalenza dell’OA aumenta con l’età e il picco massimo di frequenza sembra situarsi tra i 75 e i 79 anni. In questa fascia di età la si riscontra principalmente a carico del tratto cervicale della colonna, sia negli uomini che nelle donne, del tratto lombare per gli uomini e delle articolazioni interfalangee della mano per le donne.
L’artrosi della mano a livello radiologico viene evidenziata circa nel 54%-67% nella popolazione adulta di età pari o superiore ai 55 anni. Si stima che tra le persone positive al riscontro radiografico il 47% svilupperà una artrosi delle articolazioni interfalangee distali e circa il 50% a livello delle articolazioni interfalangee prossimali[2]. Quella della mano è il tipo più comune di artrosi e colpisce 3 volte più le donne rispetto agli uomini. Nelle fasi avanzate della patologia possono svilupparsi formazioni osteofitiche a livello delle articolazioni interfalangee prossimali e distali dando luogo rispettivamente ai caratteristi nodi di Bouchard e di Heberden. Il deterioramento delle cartilagini articolari portando a contatto diretto le estremità ossee all’interno dell’articolazione causa dolore articolare, gonfiore e rigidità. A lungo andare il processo patologico può portare a deformità osteoarticolari.
L’artrosi può colpire anche le grandi articolazioni come ginocchia (gonartrosi) e l’anca (coxartrosi) e in alcuni casi può portare alla necessità di intervento chirurgico di artroprotesi.
Le manifestazioni cliniche dell’OA vengono riscontrate però soltanto nel 30% delle OA diagnosticate con indagini radiologiche [3]. La frequenza tra i due sessi varia in base all’età (l’OA nell’uomo è più frequente sotto i 45 anni mentre nella donna sopra i 55 anni) e la distribuzione topografica, come abbiamo già visto, è differente[4].
L’OA viene considerata una patologia ad eziopatogenesi multifattoriale, innescata e portata avanti da fattori che vanno a modificare lo stato di equilibrio articolare. Per mantenere questo equilibrio è necessaria, in primo luogo, la buona salute della cartilagine, struttura necessaria ad ammortizzare il carico sulle articolazioni e a proteggere le estremità ossee dall’attrito cui andrebbero incontro se lavorassero a diretto contatto tra di loro. Un ruolo fondamentale quindi nel processo patologico è svolto dal carico cui sono sottoposte le articolazioni (quindi anche l’obesità è tra i fattori di rischio per tutte le articolazioni che sono deputate a sostenere il peso del corpo contro gravità). Contribuiscono anche fattori meccanici come instabilità articolare, i traumi, i microtraumi, sollecitazioni meccaniche ripetute dovute ad attività professionali (lombartrosi degli autisti…) o sportive (coxartrosi delle danzatrici professionali…). Infine, un ruolo importante viene svolto anche da fattori genetici (che comportino patologie che compromettano il metabolismo o la funzione articolare, generando OA secondaria: ocronosi, emocromatosi, condrocalcinosi familiare, displasie, sindrome di Ehlers-Danlos, sindrome di Marfan, etc.), disordini metabolici (es: diabete mellito, iperuricemia), processi infiammatori, invecchiamento[5].
L’infiammazione sembra svolgere un ruolo molto importante sia nell’instaurazione del processo artrosico sia nella sua progressione. Alcune artrosi sono secondarie alle artriti, ovvero insorgono come conseguenza del processo infiammatorio delle infiammazioni tipico di queste patologie. Alcune sostanze infiammatorie, infatti, sono in grado di influenzare il metabolismo delle cartilagini, che possono essere considerate il tessuto bersaglio del processo artrosico. Nelle aree più sottoposte a carico l’osso subcondrale, aumenta come difesa lo spessore delle trabecole (sono la struttura anatomica elementare del tessuto osseo) modificando la sua densità e andando incontro così a sclerosi ossea subcondrale.
Si possono formare pseudocisti dette geodi, probabilmente dovute ad infiltrazione di liquido sinoviale, ed osteofiti nelle zone marginali dell’articolazione, non sottoposte a carico.
La capsula articolare con il tempo si inspessisce riducendo la capacità di movimento dell’articolazione ed ostacolando il drenaggio venoso e linfatico con danni a carico dei processi metabolici. L’articolazione aumenta di volume manifestando una tumefazione il più delle volte dura per via degli osteofiti. Lo spazio articolare risulta ridotto per via del graduale assottigliarsi della cartilagine (nelle radiografie si nota la riduzione della rima articolare). Nei casi di versamento articolare le tumefazioni sono più molli. Durante il movimento delle articolazioni artrosiche si può sentire il loro crepitio, dovuto dall’irregolarità delle superfici articolari, dal loro contatto troppo ravvicinato e a volte da una carenza di lubrificazione. La diagnostica per immagini per eccellenza è la radiografia, mediante la quale è possibile evidenziare la riduzione della rima articolare, la sclerosi dell’osso subcondrale, le pseudocisti e gli osteofiti.
Il sintomo principale dell’artrosi è il dolore, che si elicita col movimento (dolore meccanico) e si attenua con il riposo. In genere è assente la notte, tranne nei momenti in cui è in atto una infiammazione sinoviale o in caso di concomitante contrattura muscolare che non consenta una reale posizione di riposo all’articolazione. Al mattino, o dopo una prolungata inattività, è presente rigidità ma la sua durata, in genere di 5-10 minuti, a differenza delle artriti, non supera la mezz’ora.
Uno dei grandi problemi dell’OA è dato dal fatto che la patologia, a livello clinico, si manifesta con molto ritardo rispetto alla sua insorgenza. La cartilagine è priva di vasi e strutture nervose e l’assenza di queste ultime priva le articolazioni di un sistema di allarme, il dolore, che permetterebbe di intervenire per tempo, soprattutto modificando lo stile di vita. Si ipotizza che l’irreversibilità della patologia possa essere dovuta alla sua scoperta tardiva.
Esistono in realtà degli integratori che, se presi per tempo, costantemente e a vita, sembrerebbero essere in grado di contrastare la patologia. Nello specifico la glucosammina, la condroitina e l’MSM presi in concomitanza con la vitamina C, necessaria al loro assorbimento [6] (NOTA: per l’utilizzo di integratori rivolgersi esclusivamente al proprio medico curante o allo specialista. Ciò che è scritto in questo articolo è solo a titolo informativo e per completezza sull’argomento).
BIBLIOGRAFIA:
[1]Todesco, Silvano, Pier Franca Gambari, and Leonardo Punzi. Malattie reumatiche. McGraw-Hill, 2007.
[2] Beasley, Jeanine, et al. “Conservative therapeutic interventions for osteoarthritic finger joints: A systematic review.” Journal of Hand Therapy 32.2 (2019): 153-164.
[3]Todesco, Silvano, Pier Franca Gambari, and Leonardo Punzi. (cit).
[4]Todesco, Silvano, Pier Franca Gambari, and Leonardo Punzi. (cit).
[5]Todesco, Silvano, Pier Franca Gambari, and Leonardo Punzi. (cit).
[6] Bruyère, Olivier, Roy D. Altman, and Jean-Yves Reginster. “Efficacy and safety of glucosamine sulfate in the management of osteoarthritis: evidence from real-life setting trials and surveys.” Seminars in arthritis and rheumatism. Vol. 45. No. 4. WB Saunders, 2016.
Arden, Nigel K., et al. “Non-surgical management of knee osteoarthritis: comparison of ESCEO and OARSI 2019 guidelines.” Nature Reviews Rheumatology 17.1 (2021): 59-66.
Reginster, Jean-Yves, and Nicola Veronese. “Highly purified chondroitin sulfate: a literature review on clinical efficacy and pharmacoeconomic aspects in osteoarthritis treatment.” Aging Clinical and Experimental Research 33.1 (2021): 37-47.